Un gene umano provoca un curioso squittio nei topi, sorprendendo i ricercatori

Una recente scoperta scientifica ha rivelato che una particolare variante genetica, presente in quasi tutti gli esseri umani, ma assente nei loro cugini estinti come i Neanderthal e i Denisoviani, può rendere più complessi gli squittii dei topi nei quali viene introdotta. Gli scienziati suggeriscono che questa modifica possa rappresentare una delle numerose alterazioni del DNA che hanno contribuito allo sviluppo del linguaggio umano. La ricerca, condotta da Yoko Tajima presso il Laboratorio di neuro-oncologia molecolare della Rockefeller University di New York, è stata recentemente pubblicata su Nature Communications.

Le origini del linguaggio

Le origini del linguaggio rimangono ancora avvolte nel mistero, principalmente a causa delle difficoltà nel ricostruire eventi passati solo attraverso le prove archeologiche. Seppur alcuni nostri stretti “parenti”, come i Neanderthal, possedessero caratteristiche anatomiche che avrebbero facilitato la produzione e comprensione dei suoni parlati, e condividessero con i sapiens una variante di un gene noto come FOXP2, fondamentale per le abilità linguistiche, è solo il cervello dell’uomo moderno a mostrare un’espansione nelle aree cruciali per il linguaggio.

Questa espansione cerebrale potrebbe essere stata determinante per l’emergere delle capacità comunicative complesse. In effetti, la ricerca continua a esplorare le differenze tra il cervello umano e quello delle specie estinte, per comprendere meglio come queste modifiche abbiano influito sul nostro sviluppo linguistico.

Una nuova scoperta

Lo studio condotto da Tajima ha portato alla luce una variante genetica esclusivamente umana, presente nella quasi totalità della nostra specie, che rappresenta una versione modificata di un gene noto come NOVA1. Questo gene è cruciale per lo sviluppo neurale e potrebbe aver avuto un ruolo significativo nell’emergere del linguaggio parlato. Quando introdotto nei topi, questa variante ha alterato i loro squittii, cambiando così il modo in cui comunicano tra loro. Si potrebbe quindi essere di fronte a uno dei tanti “geni del linguaggio”, sebbene non sia l’unico.

Questa scoperta offre spunti interessanti per il futuro della ricerca sul linguaggio, suggerendo che il nostro modo di comunicare potrebbe essere il risultato di una serie di modifiche genetiche accumulate nel tempo.

Disturbi associati e scoperte passate

Robert Darnell, neuroscienziato della Rockefeller University e supervisore di Tajima, ha familiarità con il gene NOVA1 sin dagli anni ’90. Aveva già ipotizzato un legame tra questo gene e il linguaggio, dopo aver trattato un ragazzo con una sola copia funzionante del gene, che presentava autismo e gravi difficoltà linguistiche e motorie. Successivamente, altri studi hanno confermato che tutti gli esseri umani possiedono una versione di NOVA1 che differisce da quella dei Neanderthal e dei Denisoviani.

Questa scoperta ha aperto nuove strade per comprendere come le varianti genetiche possano influenzare le capacità comunicative e quali disturbi possano derivare da anomalie in tali geni.

Una sola lettera di differenza

Il gene NOVA1 è responsabile della produzione di una proteina che si lega all’RNA, svolgendo un ruolo fondamentale nello sviluppo cerebrale e nel controllo neuromuscolare, elementi essenziali per il linguaggio parlato. La versione umana della proteina, nota come I197V, si distingue da quella presente in altri mammiferi e negli uccelli per una sola lettera di differenza nella sequenza aminoacidica.

Questa piccola variazione potrebbe avere un impatto significativo sul modo in cui i neuroni comunicano tra loro, suggerendo che anche le più piccole modifiche genetiche possano avere conseguenze enormi sul comportamento e sulle capacità cognitive.

Un vantaggio selettivo

La variante del gene NOVA1 è stata rintracciata in praticamente ogni uomo moderno: un team di ricerca ha esaminato 650.000 genomi sequenziati in vari database genetici e ha trovato la variante presente in tutte le persone tranne sei. Questo evidenzia che deve esserci stata una forte pressione selettiva che ha favorito la diffusione di questa variante, probabilmente negli ultimi 300.000 anni, dopo che i nostri antenati si sono separati dai Neanderthal e dai Denisoviani. La modifica genetica deve essere risultata così vantaggiosa da diventare universale nella nostra specie.

Richiami mutati

Yoko Tajima ha applicato la tecnica CRISPR per sostituire la versione del gene NOVA1 nei neuroni dei topi con la variante umana. Le analisi degli squittii ultrasonici dei roditori hanno rivelato che quelli con la versione umanizzata del gene presentavano vocalizzi modificati e distinti dai “normali”, specialmente quando venivano separati dalle loro madri. Inoltre, in presenza di una femmina di topo in calore, i maschi con la mutazione producevano richiami di corteggiamento più complessi.

Questa ricerca suggerisce che la variante del gene NOVA1 potrebbe aver avuto un ruolo significativo nello sviluppo delle nostre capacità linguistiche, anche se il tema delle modalità comunicative dei Neanderthal e dei Denisoviani rimane complesso e merita ulteriori indagini.

Published by
Loris Gattuso