Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha avviato un approfondito esame del legame tra il virus di Epstein-Barr, noto per colpire tra il 90 e il 95% della popolazione mondiale, e il rischio di sviluppare la sclerosi multipla. Questo virus, che è il principale responsabile della mononucleosi, ha suscitato l’interesse di molti ricercatori, che si sono interrogati su come un’infezione così comune possa portare a una malattia neurodegenerativa in una ristretta percentuale di individui. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS offre spunti interessanti per comprendere meglio questa connessione.
La sclerosi multipla è classificata come una malattia autoimmune, caratterizzata da una risposta anomala del sistema immunitario che attacca il sistema nervoso centrale. Questo fenomeno si verifica in particolare nei confronti della mielina, il materiale che riveste e protegge le fibre nervose nel cervello e nel midollo spinale. Un’ipotesi sempre più condivisa tra gli esperti suggerisce che il virus di Epstein-Barr possa indurre il sistema immunitario a confondere le proprie proteine con quelle virali, portando così a un attacco errato delle cellule sane. Gli anticorpi prodotti per combattere il virus, quindi, potrebbero “sbagliare mira”, colpendo la mielina e contribuendo all’insorgenza della malattia.
Il team di ricerca del Karolinska Institutet in Svezia e della Stanford University negli Stati Uniti ha condotto uno studio che conferma e amplia questa teoria. Hanno scoperto che il rischio di sviluppare la sclerosi multipla è legato a una combinazione di fattori: la presenza di specifici anticorpi in risposta al virus di Epstein-Barr e alcune predisposizioni genetiche. Queste ultime sembrano aumentare la vulnerabilità degli individui a sviluppare la malattia, suggerendo che non si tratti di un fattore isolato, ma di un intreccio complesso di cause.
Uno degli aspetti più sorprendenti di questa ricerca riguarda la reazione degli anticorpi contro una proteina virale, nota come EBNA1, che sembra interagire con una proteina simile presente nel cervello chiamata GlialCAM. Questa proteina è espressa dalle cellule della glia, che supportano i neuroni e sono cruciali per la formazione della guaina mielinica. La somiglianza tra EBNA1 e GlialCAM potrebbe spiegare come gli anticorpi, in un errore di identificazione, possano attaccare la mielina, contribuendo così all’insorgenza della sclerosi multipla.
Il gruppo di ricerca ha analizzato il sangue di 650 pazienti affetti da sclerosi multipla e di 661 soggetti sani, misurando i livelli di anticorpi contro EBNA1 e autoanticorpi diretti contro GlialCAM, ANO2 e CRYAB. I risultati hanno mostrato che i pazienti con sclerosi multipla presentavano livelli elevati di questi anticorpi maldirezionati. Inoltre, si è osservato che il rischio aumentava ulteriormente in presenza di fattori di rischio specifici o in assenza di varianti genetiche protettive. Questo suggerisce che una predisposizione genetica possa amplificare l’azione disordinata degli anticorpi, elevando il rischio di sviluppare la malattia.
Gli scienziati svedesi ora intendono rianalizzare i campioni di sangue raccolti per determinare il momento esatto in cui gli anticorpi iniziano a manifestarsi. Se dovessero risultare presenti anche prima della comparsa della malattia, potrebbero diventare biomarcatori utili per una diagnosi precoce della sclerosi multipla. Una diagnosi tempestiva è fondamentale per poter intervenire con terapie efficaci e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Con queste nuove scoperte, la ricerca continua a fare progressi significativi nella comprensione di questa complessa malattia.