Otto regimi autoritari giustificano il loro potere con la sicurezza nazionale

Nel panorama delle dittature contemporanee, il controllo della società è stato spesso realizzato attraverso la repressione e la violenza, accompagnato da narrazioni propagandistiche abilmente costruite per ottenere consenso. Durante il Novecento, un periodo definito dallo storico Eric Hobsbawm come “il Secolo breve”, numerosi crimini contro l’umanità hanno segnato la storia. Ogni regime, nel tentativo di legittimare le proprie azioni, ha frequentemente rivendicato un ruolo da vittima, giustificando la violazione dei diritti umani in nome della sicurezza nazionale. Le storie di otto dittatori, tra i più temuti del secolo scorso, ne sono una chiara testimonianza.

Francisco Franco: il Caudillo

Francisco Franco (1892-1975) emerse come uno dei generali golpisti che nel 1936 scatenarono una guerra civile in Spagna, un conflitto che avrebbe diviso non solo il Paese, ma anche l’intera Europa, causando centinaia di migliaia di vittime. Con la vittoria nel 1939, Franco instaurò un regime centralizzato, trasformando il cattolicesimo in un elemento di coesione sociale. La Spagna, sotto il suo dominio, si vide privata della libertà, mentre Franco assunse il titolo di caudillo, simile a quello di duce o Führer. Le opposizioni furono represse, le minoranze perseguitate e le voci dissidenti silenziate. Nei primissimi anni del regime, tra 30mila e 50mila spagnoli furono uccisi, mentre oltre mezzo milione di persone venne internato in una rete di circa 300 campi di concentramento.

Quasi immortale. Durante il secondo conflitto mondiale, Franco mantenne una posizione di neutralità, evitando di entrare in guerra e garantendo così la sua sopravvivenza dopo il 1945, nonostante l’isolamento internazionale. Tuttavia, con l’inizio della Guerra fredda, le potenze occidentali iniziarono a vederlo come un baluardo contro il comunismo nel Mediterraneo. Solo dopo la sua morte, la Spagna riuscirà a intraprendere il cammino verso la democrazia.

François Duvalier: “Papa Doc”

François Duvalier (1907-1971), noto per il suo impatto sulla storia di Haiti, emerse come figura di spicco in un Paese segnato dall’eredità del colonialismo e dello schiavismo. Medico di formazione, nel 1957 venne eletto presidente, ma dopo un tentativo di colpo di Stato, scelse di abbracciare l’autoritarismo. Sostenitore del vudù come elemento centrale della cultura haitiana, si proclamò protettore spirituale della nazione. Rieletto nel 1961 forzando la Costituzione, nel 1964 si autoproclamò presidente a vita.

Milizie paramilitari. Conosciuto come “Papa Doc”, Duvalier governò attraverso un mix di paternalismo e populismo, usando le limitate risorse pubbliche per promuovere la sua immagine. La sua amministrazione si caratterizzò per l’uso della forza contro gli oppositori, attuata tramite una milizia paramilitare. L’isola cadde in un clima di terrore, con circa 20mila o 30mila vittime. La sua abilità nel presentarsi come un argine al comunismo in Sud America gli permise di mantenere il potere fino alla morte nel 1971, quando il suo regno passò al figlio.

Augusto Pinochet: il “macellaio” di Santiago

Il generale Augusto Pinochet, con il suo sguardo torvo e un atteggiamento aristocratico, guidò la giunta militare che dal 1973 al 1990 trasformò il Cile in una dittatura. Dopo aver orchestrato il colpo di Stato contro il governo eletto di Salvador Allende, Pinochet instaurò un regime di terrore. La Costituzione venne congelata, i partiti politici furono sciolti e ogni libertà fu soppressa. Invocando la restaurazione dell’ordine, molti oppositori furono arrestati, torturati o uccisi, con migliaia di persone scomparse (i desaparecidos). Circa 40mila cileni furono vittime di violazioni dei diritti umani, con oltre 3mila morti documentati.

Nessuna giustizia. Pinochet divenne un simbolo dell’anticomunismo in America Latina e ricevette riconoscimenti internazionali. Si ritirò solo con l’inizio della transizione democratica, ma fu incriminato sia in Cile che all’estero. Nonostante le sue quattro detenzioni domiciliari, non affrontò mai un processo e morì da uomo libero.

Jorge Videla: il dittatore argentino

Il generale Jorge Rafael Videla (1925-2013) guidò l’Argentina con il pugno di ferro dal 1976 al 1981, durante il Processo di riorganizzazione nazionale. Questo periodo vide la creazione di una struttura autoritaria complessa volta a costruire una società gerarchica e conservatrice. Il regime si distinse per la repressione sistematica di oppositori, tra cui militanti, sindacalisti e giornalisti, considerati nemici della nazione.

Operazione Condor. Videla divenne un punto di riferimento per l’estrema destra internazionale, contribuendo all’Operazione Condor, una serie di azioni coordinate dai servizi d’intelligence delle dittature militari del Sud America per fermare la diffusione di idee progressiste. L’Argentina visse un periodo di terrore, con migliaia di donne private dei loro figli e circa 30mila persone scomparse, una ferita che non si è ancora cicatrizzata.

Pol Pot: il rieducatore

Saloth Sar, conosciuto come Pol Pot (1925-1998), studiò in Francia e nel 1963 divenne leader del Partito comunista cambogiano e della formazione guerrigliera dei Khmer rossi. Combatté contro la monarchia cambogiana e, dopo aver preso il potere nel 1975, avviò un esperimento radicale per creare un “uomo nuovo” dedito al partito e alla patria. Questo processo portò a genocidio, con deportazioni e uccisioni di massa di intellettuali e cittadini.

Dal 1976 al 1979, oltre 1 milione di cambogiani, circa un quarto della popolazione, morì nei campi di lavoro. Pol Pot ricevette appoggio indiretto dagli Stati Uniti e dalla Cina, ma quando il Vietnam invase la Cambogia, fuggì, tornando solo nel 1989, morendo senza mai affrontare un processo.

Jean-Bedel Bokassa: il Napoleone africano

Jean-Bedel Bokassa (1921-1996) nacque nell’Ubangi-Sciari, una colonia francese. Dopo l’indipendenza nel 1960, divenne capo delle forze armate e nel 1966, con un colpo di Stato, assunse il potere. Governò in modo sfarzoso, ignorando la fame e le malattie che affliggevano la popolazione, ossessionato dall’idea di diventare una figura storica.

Modello Napoleone. Nel 1976, per emulare Napoleone Bonaparte, si proclamò imperatore, con una cerimonia che costò circa 20 milioni di dollari. Il suo regime fu caratterizzato da torture e macabre esecuzioni di dissidenti. Accusato di cannibalismo, Bokassa sostenne gli interessi occidentali in Africa, ma nel 1979 fu spodestato. Tornò in patria dopo un’amnistia generale, morendo da uomo libero.

Idi Amin Dada: il megalomane

Idi Amin Dada (1925-2003), appartenente a una delle piccole etnie dell’Uganda, fece carriera militare sostenendo Milton Obote, per poi rovesciarlo nel 1971. Inizialmente considerato un potenziale alleato dall’Occidente, Amin trasformò il Paese in una dittatura. Nel 1977, si autoattribuì il titolo di “signore di tutte le bestie della terra e dei pesci del mare”, rivelando la sua vera natura.

Fine dorata. Amin si avvicinò all’Urss, mentre il suo regime si caratterizzava per abusi, violenze e politiche razziste: circa 50mila persone d’origine asiatica furono espulse e tra 100 e 300mila ugandesi furono torturati o uccisi. Il regime crollò nel 1979 e Amin fuggì in Libia, poi in Arabia Saudita, dove visse nel lusso fino alla morte.

Haji Mohammad Suharto: complottista

Haji Mohammad Suharto (1921-2008), leader della fazione di destra delle forze armate indonesiane, si affermò in un periodo di forti tensioni sociali, indebolendo il primo presidente dell’Indonesia, Sukarno. Sfruttando l’ossessione anticomunista, nel 1965 assunse il controllo del governo, realizzando una manovra reazionaria che rafforzò l’esercito e inasprì le misure di sicurezza.

Anticomunista. Suharto divenne noto per la brutalità delle sue azioni contro i comunisti, demonizzando e massacrando oltre 500mila militanti e simpatizzanti del Partito comunista indonesiano. Consolidò il suo regime su posizioni rigidamente filo-occidentali, mantenendo il potere fino al 1998, segnando indelebilmente la storia dell’Indonesia contemporanea.

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Clarissa Semprone