
Sei mesi dopo la storica Marcia su Roma, avvenuta il 28 ottobre 1922, Benito Mussolini, il leader del fascismo, si accingeva a riformare il sistema scolastico italiano. Questa iniziativa, tra le prime azioni del suo governo, mirava a plasmare la gioventù del Paese secondo i dettami del regime.
Il ruolo di Giovanni Gentile nella riforma scolastica
Il filosofo Giovanni Gentile (1875-1944), nominato ministro dell’istruzione, si trovò al centro di questa trasformazione. La sua missione era chiara: elevare il livello culturale di un’Italia profondamente segnata dall’analfabetismo, che al Sud raggiungeva il 50%. Tra le misure più significative, Gentile introdusse la scuola gratuita fino ai dieci anni e innalzò l’obbligo scolastico a 14 anni. Tuttavia, l’accesso all’Università rimaneva riservato esclusivamente agli studenti del liceo classico. La situazione politica, segnata dalle elezioni del 6 aprile 1924 e dall’omicidio Matteotti, costrinse Gentile a dimettersi, lasciando il futuro della riforma scolastica in una fase di incertezze.
Educazione ginnicosportiva e propaganda
I membri del Gran Consiglio fascista approfondirono il concetto di “educazione ginnicosportiva”, che fino ad allora era stata trascurata nel sistema educativo. Con l’approvazione della legge n. 2.246 del 3 aprile 1926, i giovani di età compresa tra gli 8 e i 18 anni vennero arruolati in un’organizzazione paramilitare chiamata Opera nazionale Balilla, suddivisa in gruppi in base all’età. Lo scopo di questa iniziativa era quello di promuovere l’educazione culturale, spirituale e religiosa della gioventù, come stabilito dallo Statuto.
Le organizzazioni giovanili non fasciste, compresi gli scout, furono dichiarate fuorilegge e, nel 1928, una circolare ministeriale impose agli scolari di adottare il saluto romano durante le manifestazioni pubbliche. La scuola, quindi, divenne un campo di battaglia ideologico, dove i principi del regime si riflettevano in ogni aspetto della vita quotidiana degli studenti.
La fascistizzazione della scuola
La riforma del sistema educativo si manifestò in modo evidente a partire dalla scuola primaria. In pochi mesi, quaderni, banchi e persino il corpo docente subirono cambiamenti radicali. Le pagelle del 1926 iniziarono a riportare simboli come il fascio littorio e l’aquila romana, mentre la storia venne riformulata come “storia della cultura fascista”. I genitori furono esortati a garantire che i propri figli avessero sempre scarpe, grembiuli e mani pulite.
Ogni istituto scolastico dovette attenersi a rigidi diktat provenienti da Roma, riguardanti l’arredamento delle aule, che potevano contenere fino a 40 studenti per classe. Il crocifisso doveva essere esposto tra il ritratto del re e quello del duce, mentre i calamai venivano forniti dai bidelli e i banchi erano disposti a coppie.
Un testo unico di Stato
Nel settembre del 1929, il ministero dell’Istruzione subì una trasformazione, diventando il ministero dell’Educazione Nazionale. Una commissione presieduta da Alessandro Melchiori, vicesegretario del Gran Consiglio fascista, esaminò nel 1928 circa 400 testi scolastici, dichiarando che nessuno di essi rispondeva alle esigenze del regime. Questo portò all’accelerazione della creazione di un testo unico di Stato, introdotto con la legge n. 5 del 7 gennaio 1929. L’abecedario fascista era ricco di immagini, canzoni e filastrocche, tutte tese a inculcare nei giovani l’ideologia fascista, con frasi come “Tutti i bambini d’Italia sono piccoli fascisti”.
Militarizzazione e propaganda
Il volto di Mussolini divenne onnipresente, apparendo su quaderni, libri e persino sui muri delle aule. Il 19 aprile 1933, l’Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche) iniziò a trasmettere i discorsi del duce, mentre nel 1934 il corpo docente, inclusi direttori e ispettori scolastici, fu costretto a indossare la camicia nera o la divisa da ufficiale della milizia. Le gite scolastiche furono indirizzate verso luoghi militari, aeroporti e arsenali, enfatizzando l’ideale bellico del regime.
In aggiunta, a partire dal 31 dicembre 1933, venne introdotta una nuova materia obbligatoria: la “pratica e cultura militare”, che prevedeva 30 ore di insegnamento impartite da ufficiali della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Il conflitto e le conseguenze
Tra il 5 settembre 1938 e il 29 giugno 1939, vennero promulgate le Leggi razziali, segnando un punto di non ritorno per la società italiana. Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, le lezioni scolastiche iniziarono a essere interrotte dai bombardamenti, costringendo gli alunni a cercare rifugio. Le insegnanti indossavano maschere antigas, mentre la guerra diventava parte integrante della loro formazione.
La caduta del regime, avvenuta il 25 luglio 1943, e l’armistizio dell’8 settembre segnarono la fine di un’epoca. Il ritorno alla democrazia, culminato con la Liberazione, chiuse il capitolo del Ventennio fascista, lasciando un’eredità complessa nel sistema educativo italiano.