La vaginosi batterica rappresenta un problema di salute significativo, colpendo circa un terzo delle donne a livello globale. Questa infezione è associata a complicazioni gravi come infertilità, parti prematuri e morti neonatali. Tradizionalmente, il trattamento si è concentrato sul ripristino dell’equilibrio del microbioma vaginale, ma una recente ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine propone una visione innovativa. Secondo gli autori dello studio, la vaginosi batterica sarebbe in realtà un’infezione trasmessa sessualmente, suggerendo che sia necessario trattare non solo la donna, ma anche il suo partner.
Non basta curare solo la donna. Il trattamento standard per la vaginosi batterica prevede un ciclo di antibiotici per via orale della durata di una settimana. Tuttavia, sorprendentemente, oltre il 50% delle donne sperimenta una recidiva entro tre mesi. La causa di questo fenomeno, secondo i risultati del nuovo studio, risiederebbe proprio nel partner, che, non sottoposto a trattamento, potrebbe reinfettare la donna. Catriona Bradshaw, una delle ricercatrici coinvolte, sottolinea che «intervenire è economico e veloce, e può prevenire non solo la vaginosi batterica, ma anche le sue complicazioni più gravi».
Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno esaminato 164 coppie eterosessuali monogame in cui le donne erano affette da vaginosi batterica. Le coppie sono state divise in due gruppi: nel primo, solo le donne hanno ricevuto il trattamento standard con antibiotici per via orale; nel secondo, entrambi i partner hanno assunto antibiotici e hanno applicato localmente una crema antibiotica per una settimana. I risultati sono stati così promettenti che il trial è stato interrotto anticipatamente, dimostrando che la ricomparsa della vaginosi batterica era dimezzata nel gruppo trattato in modo congiunto.
Bradshaw conclude affermando: «Il nostro studio dimostra che le donne vengono reinfettate dal partner, e questo prova che la vaginosi batterica è effettivamente un’infezione sessualmente trasmessa». Sebbene le linee guida delle istituzioni sanitarie non possano essere modificate immediatamente, gli autori dell’indagine sono fiduciosi che la diffusione delle loro scoperte possa contribuire a una maggiore consapevolezza riguardo alle cure corrette da adottare. La speranza è che un cambiamento nella percezione e nel trattamento di questa condizione possa portare a risultati migliori per le donne colpite in tutto il mondo.