
Nel corso del XIX secolo, l’Europa visse un periodo di tumulto e conflitti, segnato da due guerre mondiali che provocarono una serie di atrocità senza precedenti. Questo contesto drammatico portò alla nascita del Manifesto di Ventotene, un documento redatto tra il 1941 e il 1944 da un gruppo di antifascisti detenuti nel carcere di Santo Stefano, sull’isola di Ventotene, nel Lazio. Gli autori, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, insieme alla tedesca Ursula Hirschmann, elaborarono diverse versioni di questo manifesto, inizialmente intitolato “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”.
Cosa proponeva il manifesto
Il Manifesto di Ventotene delineava una visione audace per l’Europa: la creazione di un sistema fondato sull’interdipendenza tra gli Stati, un’idea che mirava a eliminare le cause storiche di conflitto. Gli autori immaginavano una federazione europea dotata di un parlamento eletto tramite suffragio universale, un passo significativo verso una governance condivisa che avrebbe potuto garantire stabilità e pace nel continente.
Le idee esposte nel manifesto trovarono eco tra vari leader politici dell’epoca. Figure come Jean Monnet e Robert Schuman dalla Francia, Konrad Adenauer dalla Germania e l’italiano Alcide De Gasperi, insieme a Spinelli, sono oggi ricordati come i “padri fondatori” dell’Europa unita. Questi leader condivisero la visione di un’Europa coesa, capace di affrontare le sfide globali, e il loro impegno ha gettato le basi per l’integrazione europea che conosciamo oggi.
Blocchi contrapposti e la guerra fredda
L’emergere di superpotenze come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica durante il XX secolo contribuì a un cambiamento significativo nel panorama geopolitico europeo. Gli Stati europei, percependo la necessità di unirsi per contrastare l’influenza di queste potenze, si resero conto che solo attraverso un’azione collettiva avrebbero potuto mantenere una posizione di rilievo nella scena internazionale. Questo portò l’Europa occidentale a schierarsi con il blocco filoamericano, mentre si opponeva al blocco sovietico, dando vita a una divisione che caratterizzò la Guerra fredda.
In questo contesto, le idee di integrazione e cooperazione europea assunsero un’importanza cruciale. La necessità di un’Europa unita non era solo una questione di idealismo, ma una strategia pragmatica per garantire la sicurezza e la prosperità dei Paesi membri. La divisione tra Est e Ovest rese evidente che la cooperazione tra le nazioni era essenziale per affrontare le sfide comuni e prevenire futuri conflitti.
Radici pacifiste e visioni di un’Europa unita
Il concetto di un’Europa unita, capace di superare le divisioni nazionali, ha radici che risalgono a prima del XX secolo. Già nella Francia del Settecento, pensatori visionari pubblicarono opere che esploravano l’idea di una “pace perpetua”. Tra questi, il filosofo Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre propose nel 1713 il “Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe”, in cui immaginava la creazione di un’istituzione sovranazionale per risolvere le controversie tra gli Stati.
Questa proposta richiedeva ai Paesi di cedere parte della loro sovranità a favore di leggi comuni, garantendo in cambio vantaggi economici e la pace. Pensatori come Jean-Jacques Rousseau, Voltaire e il filosofo tedesco Immanuel Kant ripresero queste idee, con Kant che nel 1795 pubblicò il trattato “Per la pace perpetua”, dove delineava un futuro senza conflitti, grazie alla scomparsa degli eserciti nazionali e al superamento del concetto di sovranità nazionale.
L’eredità di queste visioni continua a influenzare il dibattito contemporaneo sull’unità europea, sottolineando l’importanza di un approccio collaborativo per affrontare le sfide globali.