
Il tragico evento conosciuto come l’eccidio delle Fosse Ardeatine rappresenta uno dei momenti più bui della storia italiana. Il 24 marzo 1944, le truppe tedesche, in risposta a un attentato partigiano avvenuto il giorno precedente in via Rasella a Roma, uccisero 335 italiani in un atto di rappresaglia brutale.

Questa immagine ricorda la prima commemorazione dell’eccidio, avvenuta un anno dopo i fatti, il 24 marzo 1945. Alla cerimonia partecipò anche Umberto di Savoia, testimone di una tragedia che ha segnato profondamente la memoria collettiva.
Il 23 marzo 1944, l’attentato partigiano in via Rasella a Roma scatenò una reazione violenta da parte del regime nazista. Adolf Hitler, furioso per l’azione dei partigiani, ordinò una rappresaglia che doveva essere così devastante da “far tremare il mondo”. Questo ordine portò a quello che oggi conosciamo come l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Una strage inimmaginabile. Le autorità tedesche inizialmente considerarono l’idea di sterminare un intero quartiere e di fucilare 50 italiani per ogni soldato tedesco ucciso. Tuttavia, il generale Kesselring, comandante delle forze naziste in Italia, decise di ridurre il numero a dieci italiani per ogni tedesco morto, portando a una strage che si consumò nelle antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte per la loro capacità di occultare i corpi.
Strategia della paura. Secondo lo storico Davide Conti, nei manuali militari del Terzo Reich era previsto l’uso del terrore come metodo preventivo contro i civili, al fine di scoraggiare qualsiasi forma di resistenza. La decimazione della popolazione civile era una strategia volta a prevenire possibili ribellioni, ma è fondamentale comprendere che non si trattava di un semplice ciclo di attacco e rappresaglia. La storiografia moderna ha chiarito che, in una guerra totale, le distinzioni tra militari e civili venivano annullate, portando a una guerra contro la popolazione stessa.