
Un nuovo farmaco capace di ridurre le placche di beta-amiloide nel cervello potrebbe rappresentare una svolta nella lotta contro la malattia di Alzheimer, ritardando l’insorgere dei sintomi in soggetti predisposti a forme precoci di questa demenza. Questo promettente studio, pubblicato su Lancet Neurology, fornisce ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi amiloide, secondo cui l’accumulo di placche amiloidi sulle cellule nervose sarebbe alla base dell’insorgenza dell’Alzheimer. La rimozione di queste placche potrebbe quindi interrompere il declino cognitivo prima che inizi.
Un’innovativa ricerca
La ricerca, condotta dalla Knight Family Dominantly Inherited Alzheimer Network-Trials Unit (DIAN-TU) presso la Scuola di Medicina di St. Louis dell’Università di Washington, ha suggerito che iniziative terapeutiche mirate a eliminare le placche amiloidi, somministrate decenni prima della comparsa dei sintomi, potrebbero effettivamente ritardare l’esordio della demenza di tipo Alzheimer. Gli scienziati hanno esaminato un campione di 73 individui, tutti con un alto rischio genetico di sviluppare la malattia, di età compresa tra i 30 e i 50 anni.
In un sottogruppo di 22 partecipanti, che non presentavano problemi cognitivi all’inizio dello studio e hanno ricevuto il farmaco per un periodo medio di 8 anni, è emerso che il trattamento ha ridotto il rischio di manifestare sintomi da una percentuale vicina al 100% a circa il 50%. Questo significa che il farmaco ha praticamente dimezzato le probabilità di ammalarsi, sebbene non si possa escludere che l’insorgenza dell’Alzheimer possa essere solo stata rimandata.
Un contributo significativo alla ricerca
Il progetto di ricerca Knight Family DIAN-TU-001 è stato avviato nel 2012 con l’obiettivo di valutare l’efficacia di diversi farmaci anti-amiloidi nella prevenzione della malattia di Alzheimer. Tutti i partecipanti erano cognitivamente integri o presentavano un declino cognitivo molto lieve. La selezione dei soggetti è avvenuta in un intervallo di 15 anni prima e 10 anni dopo l’età in cui, secondo la storia familiare, ci si aspettava l’esordio della malattia.
Alla conclusione del trial nel 2020, il farmaco sperimentale gantenerumab, sviluppato dalle aziende biotech Roche e Genentech, aveva dimostrato di ridurre i livelli di amiloide nel cervello e di migliorare i livelli di alcune proteine associate all’Alzheimer. Tuttavia, non erano emersi benefici cognitivi significativi, poiché i partecipanti asintomatici, sia quelli trattati con il farmaco sia quelli con placebo, non mostravano segni di declino cognitivo.
Proseguire con l’estensione dello studio
Le incertezze riguardanti i risultati nel gruppo di pazienti senza sintomi hanno spinto gli scienziati a lanciare un’estensione dello studio rivolta a tutti i partecipanti con una mutazione genetica che predispone a un alto rischio di Alzheimer in forma precoce. L’obiettivo era determinare se il gantenerumab, somministrato in dosi elevate, potesse prevenire o ritardare l’insorgere della demenza.
In questa fase, tutti i partecipanti hanno ricevuto il farmaco, senza un gruppo di controllo interno. Tuttavia, i dati sono stati confrontati con quelli di un altro studio osservazionale correlato, in cui i soggetti non avevano ricevuto alcun medicinale. A metà del 2023, lo studio è stato interrotto a causa della decisione della Roche di sospendere lo sviluppo del gantenerumab, che aveva mostrato risultati deludenti in un’altra ricerca su pazienti con i primi sintomi di Alzheimer. L’estensione dello studio ha avuto una durata di 2 anni e 6 mesi.
Risultati e considerazioni sui rischi
La rimozione delle placche amiloidi ha mostrato un potenziale nel ritardare l’insorgenza dei sintomi e la progressione della demenza, con risultati statisticamente significativi solo per il sottogruppo di pazienti trattati per il periodo più lungo. In questi casi, il farmaco ha dimezzato il rischio di comparsa dei sintomi, ma la sua efficacia potrebbe variare nel tempo. Alcuni di questi pazienti potrebbero sviluppare i sintomi più avanti, mentre altri potrebbero rimanere asintomatici oltre l’età di esordio prevista.
Durante il trial di estensione, è stato osservato un incremento del tasso di un effetto collaterale associato ai farmaci anti-amiloide, le Anomalie da Imaging Correlate all’Amiloide (ARIA), che comportano edemi e potenziali emorragie cerebrali. Questo tasso è risultato un terzo più alto rispetto al trial clinico originale (30% contro il 19%). Due partecipanti hanno manifestato ARIA in forma grave, ma sono stati in grado di recuperare. Non si sono verificate situazioni a rischio di vita né decessi.
Prospettive future nella lotta contro l’Alzheimer
Sebbene il gantenerumab non sia più in fase di sviluppo, altri farmaci anti-amiloide, come il lecanemab, potrebbero essere utilizzati in futuri studi. I pazienti che erano stati esclusi dallo studio di estensione a causa della sospensione del gantenerumab hanno continuato a partecipare allo studio con il lecanemab, ma i dati di questa nuova fase non sono ancora stati analizzati. Sarà fondamentale comprendere quanto a lungo duri questo possibile effetto protettivo e se esso possa estendersi anche alle forme di Alzheimer non precoci, che non sono determinate geneticamente e risultano, pertanto, più difficili da prevedere.